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Giggi & Grazia ricordano Stampa E-mail
Abbiamo conosciuto Domma nell’estate del 1974, ordinato sacerdote da pochi mesi, quando fu mandato a fare il viceparroco a S. Timoteo a Casal Palocco, dove eravamo impegnati nel servizio ai giovani.
Eravamo capitati un po’ per caso a Casal Palocco nel 1972, dopo aver vagato anni nella campagna romana alla ricerca di un terreno dove costruire una casa per i giovani, per dare loro qualcosa di più completo di quello che le parrocchie potevano offrire, ma nessuno ci sosteneva.
Sentivamo forte la vocazione per il servizio ai giovani ed eravamo fermamente convinti che non avesse senso il nostro impegno senza la guida di un sacerdote che si dedicasse a tempo pieno ai giovani ma eravamo disorientati, perché l’ultimo sacerdote che avevamo avuto era partito missionario anni prima e così pensammo di cominciare intanto a dare una casa almeno alle nostre figlie in arrivo. Dopo tanto vagare, solo a Palocco avevamo trovato l’opportunità di una casa per noi.
Quindi ci affidammo subito alla parrocchia di S. Timoteo, a don Antonio, il suo parroco e quando conoscemmo Domma, Grazia, su mandato del vescovo, lavorava coi giovani già da 15 anni e Giggi, con Grazia, da otto… e Domma fu la nostra benedizione e quella dei giovani, visto che il cardinale Poletti lo aveva mandato lì chiedendogli di occuparsi proprio dei giovani, lui che, ci confidò poi, si era occupato fino ad allora di tutt’altre persone (i carcerati) e non sapeva da che parte rigirarsi!
Don Antonio gli affidò subito le cresime. Sul finire della primavera del 1975, alla fine del primo anno di catechismo di don Mario, il parroco ci chiamo e ci portò al ritiro delle cresime per fare l’annuncio ai cresimandi di un cammino per i giovani che la parrocchia voleva offrire loro.
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don Fabrizio ha scritto... Stampa E-mail

Sono passati sei mesi – a fine giugno – dalla morte di Domma. Ognuno ha vissuto a modo suo questo evento drammatico. La percezione generale è che lui sia ben presente con lo spirito. Piccoli e grandi segni, interpretabili a piacimento, vengono narrati per testimoniare di una presenza che non potrà venire meno: troppo ha dato don Mario a questa comunità; ogni punto di questo spazio reca una traccia indelebile del suo passaggio. Personalmente, sento una grande responsabilità, che potrebbe facilmente trasformarsi in nevrosi: come faccio a essere all’altezza di un uomo simile? Ma poi subentra un senso di affidamento, di fiducia nel fatto che quello che mi ha dato – e che ha dato a tutti noi – forse solo ora comincia a portare frutto veramente. Ogni pensiero, ogni gesto, ogni progetto viene naturalmente a confrontarsi con l’esperienza fatta con lui: come si sarebbe comportato Domma, che scelta avrebbe compiuto? La sua eredità già mette radici, informa di sé le ragioni e i sentimenti di una comunità cui il suo amore di padre ha dato un’impronta decisiva. Non è possibile guardare in faccia un povero senza pensare subito a quanto l’avrebbe amato lui; né è possibile incontrare un giovane e far finta di dimenticare l’ansia del sacerdote per la crescita, la soluzione dei problemi, la liberazione delle energie. La mia stanza è piena di foto: ce n’è una che campeggia di fronte alla scrivania, perché i nostri sguardi si possano incrociare ogni momento. A volte lo rimprovero per avermi lasciato da solo, quando sento addosso una stanchezza mortale; a volte gli chiedo di aiutarmi, di farmi avere l’ispirazione giusta, di tirarmi fuori da una situazione impossibile; ma il più delle volte lo guardo e lo sento con me, come prima, col suo sorriso dolce e commosso, con la sua attenzione che ho avvertito unica al mondo. Ecco se dovessi sintetizzare in un solo pensiero il mio rapporto con don Mario, potrei dire questo: non ho mai incontrato una persona come lui. E’ uno di quei doni che piovono dall’alto e che non sai spiegare. Perché proprio a me? E se non lo avessi incontrato, che ne sarebbe stato della mia esistenza? Ma Domma è stato in mezzo a noi, è stato con noi: la nostra vita ha un senso, un fine, siamo stati toccati da quello che si chiama, con una parola spesso un po’ abusata, felicità. E non la perderemo più.

don Fabrizio

 
Testimonianza di Andrea Migani Stampa E-mail

Mi chiamo Andrea Migani. Ho 36 anni. Sono nato a Roma e ho vissuto nel quartiere di Casal Palocco fino al 2000 quando, sposato da 5 anni, mi sono trasferito all’Infernetto.
Avevo 2 anni quando mia madre Annamaria mi portò a conoscere il Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto Casa della Pace nel quartiere Madonnetta di Roma. I miei fratelli più grandi erano lì. Li vedevo felici, e non erano gli unici ad esserlo. Cominciai presto a vivere la realtà del Centro e a sperimentare la bellezza di un luogo dove il giovane, grazie all’amore di un padre spirituale formatore e di animatori laici e religiosi, potesse essere formato, salvato, nel rispetto della sua umanità, della sua libertà, della sua identità e delle sue peculiarità, riuscendo a valorizzare i talenti offertigli dal Signore con la garanzia che sarebbe stato un uomo capace di CREDERE, SPERARE ed AMARE. Ho sempre avvertito che c’era un disegno di Dio nella mia vita e che essa si realizzava pienamente attraverso la FORMAZIONE GIOVANILE.
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Lettera di Titti a Domma Stampa E-mail

30 dicembre 2009

Caro Domma,
oggi sei andato in cielo, nella Gloria di Dio per il quale hai speso la tua vita e che ora ti appartiene totalmente, facendoti gustare “faccia a faccia” quelle cose che “occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo”.
Eppure questo per me è un giorno“sospeso in aria”, fatto di vuoto, di dolore, di solitudine, di riflessione che mi porta a cercarti in fondo al cuore, per ritrovarti nei ricordi che ci legano. In questo mistero silenzioso vedo pezzi di vita vissuta ridestarsi come da un lungo sonno…
Eccomi, poco più che ventenne, aspettare la metropolitana per raggiungere il centro di Roma, ma in realtà – dietro le porte del vagone che mi si spalancarono davanti – ad aspettarmi c’era la proposta di entrare a far parte di un Centro con la C maiuscola, immaginato da te per i giovani.
Ricordo ancora il tuo sguardo che mi scruta dentro. Non hai solo occhi che vedono; hai occhi che fanno vedere: occhi che non giudicano e non cercano affatto di convertirti, perché quello può essere il frutto soltanto di una libera scelta.

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