Perché un Centro giovanile e non un oratorio Stampa

Sintesi tratta dal "Corso per animatori di pastorale giovanile" tenuto da Don Mario Torregrossa nel 1990

Questo Centro e' stato costruito per dare uno spazio autonomo ai giovani come giovani, destinatari di una pastorale non generale, ma specifica, specialistica (non c'e' spazio per il dilettantismo). Per indirizzare bene il giovane bisogna conoscere il bambino, il ragazzo e l'adulto, cioe' tutto il ciclo di vita (tra l'altro, oggi la maturazione sta slittando: l'uscita dall'adolescenza e l'inizio di un processo di identificazione di se stessi - cioe' l'inizio dell'eta adulta- sta ritardando.)

Il giovane NON e' un adulto in miniatura. E' un'altra cosa.
Bisogna tener conto del fenomeno della crescita, con tutte le sue contraddizioni. Nell'adolescenza e' impossibile avere una certa coerenza, perche' c'e' uno scollamento: mentre sul piano dell'intelligenza il giovane e' una persona completa, non lo e' ancora per quanto riguarda il resto, soprattutto l'emotività. Gli adolescenti sono incostanti e incoerenti con quello che pensano. Tale contraddizione e' costituzionale. Il processo di unificazione della personalita' -che e' un processo di crescita - avviene in seguito all'adolescenza. Quindi non si devono avere delle attese infondate. Ci vuole una particolare pazienza anche nel discorso di fede, in questo senso. Non bisogna essere intransigenti nella correzione. Se si insiste troppo si puo' distruggere una fede che poteva diventare una cosa bella. La soluzione non e' nel togliere la fiducia, ma nel riuscire a comunicare fiducia ad una realta' che si trova in una situazione cosi' mutevole.
La via del Centro e' Fede, Speranza e Carita'.
E' una via di vita, di crescita concreta, non solo di catechesi.
La grandezza del Centro e' nella prevenzione. Siccome sappiamo che tutto cio' che viene dal Signore non e' caos, cerchiamo di togliere il caos dalla testa e dal cuore delle persone, cosi' da permettere ad ognuno di sviluppare le sue potenzialita' al massimo, cioe' secondo la volonta' di Dio su di lui.
Compito del formatore e' interessarsi delle dinamiche di crescita individuali, dando anche indicazioni per la linea che i gruppi devono seguire.
La meta dei gruppi e' la sintonia, la comunione nella diversita'. Un giovane che si e' formato cosi' e' una garanzia.
Gli animatori del Centro collaborano con il formatore.
Si puo' stare al servizio dei giovani soltanto se li si ama: e' questa la verita' fondamentale di una pastorale giovanile.
Noi siamo contrari a tutte quelle pastorali che fanno leva solo sugli elementi contingenti (perche' superata una certa eta' non fanno piu' presa, mentre la fede e' qualcosa che deve durare tutta la vita) o sulle tecniche dell'affettività (Dio e' Amore,  ma sarebbe un inganno comunicare l'amore solo attraverso certe tecniche e non attraverso la Verita' dell'Amore che e' sacrificio, dedizione, disponibilita').
Gli animatori devono far collimare le singole persone con il gruppo, rimanendo indifferenti alle naturali dinamiche di gruppo (non ci sara' la dinamica del leader, delle personalita' antagoniste...) e superando le dinamiche dell'amicizia per far vedere che c'e qualcosa di piu': Cristo, modello di umanita'.
Si cammina su una via di fede. Cio' consente di rimanere al gruppo anche quando l'amicizia va in crisi.
Bisogna stare attenti contemporaneamente al gruppo e alla persona.
Il criterio di vita dei gruppi e' quello della Carita': ognuno deve essere accettato per quello che e', quindi alle volte il gruppo si blocca per via di uno solo che non ce la farebbe, per non creare emarginazioni, perche' fra i giovani l'emarginazione e' una delle cause peggiori dell'ateismo.
Il rapporto esistente fra il giovane e il gruppo e' un rapporto che incide sulla vita di fede del giovane.
Se il gruppo non si nutre veramente dei contenuti che dice, puo' essere un'esperienza estremamente negativa. A quel punto l'animatore deve intervenire: meglio scassare un gruppo che scassare una persona.
Un gruppo di fede che non rispondesse al bisogno di affetto, di amicizia, verrebbe rifiutato non solo come gruppo, ma porterebbe il giovane a concludere: Dio non esiste. Sotto il nome di ateismo il giovane nasconde mille altre cose (il fenomeno del mascheramento e' una problematica grossissima. E' proprio una struttura mentale: ad una certa eta', il giovane non si mostra per quello che e', specialmente nel gruppo e, soprattutto, se teme il gruppo. L'unico che puo' riuscire a superare il mascheramento e' il formatore).
L'ateismo dei giovani non e' vero ateismo.
I giovani sono capaci di fede, di santita'.
La riprova e' nel fatto che Maria era una giovinetta  ed e' proprio il modello di un cristiano che fa un cammino di fede, perché' ci precede nella fede e cresce nella fede -come ha scritto Giovanni Paolo II.
Se la Chiesa con Paolo VI ad un certo punto ha parlato di nuova evangelizzazione e' perche' ci siamo trovati -il Concilio Vaticano II del 1962 lo ha portato in evidenza- con tutto un salto generazionale di atei che erano quelli venuti dalla pastorale del pallone. La pastorale degli oratori e' fallita perche', arrivati ad una certa eta', tutti quelli che hanno fatto l'oratorio se ne sono andati.  La grande illusione era stata pensare che certi strumenti avessero la forza di andare oltre il contingente, questo e' il problema: quando e' finita, con la crescita, la propensione verso quello strumento, non rimane niente, al massimo resta un ricordo che pero' non e' una base per portare avanti un discorso di fede. Non mi va piu' di giocare a pallone, non credo piu' in Dio.
La nostra via e' un'altra.
La scommessa piu' importante che ha vinto il Centro e' stata portare avanti negli anni '70-'80 tutta la prima generazione di giovani (alcuni attuali animatori) senza pallone, senza campo, senza niente: quello e' stato un autentico miracolo.
Al Centro c'e spazio per lo sport come discorso di formazione, perche' crediamo nello sport come valore affermativo (tant'e' che nella nostra struttura c'e' il campo di calcetto, ma non come un punto decisivo).
Il pallone non e' neanche un buon aggancio.  Giocare a pallone può diventare un momento pedagogico.
I giovani hanno bisogno di un linguaggio dei fatti, dei gesti, perche' sono concreti ed hanno bisogno di vedere subito il riscontro di quello che viene loro annunciato.

(Sintesi tratta dal "Corso per animatori di pastorale giovanile" tenuto da Don Mario Torregrossa nel 1990).