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DON MARIO TORREGROSSA: Taormina (ME) 5 maggio 1944 - Roma, 30 dicembre 2008

 

Mario Torregrossa nasce a Taormina, in provincia di Messina, il 5 maggio 1944 e passa la sua infanzia nella città natale, a scuola, nel gioco presso l’oratorio dei Salesiani, nei tuffi a mare, in quel mare da lui sempre tanto amato e rimasto solo più nostalgia negli ultimi dodici anni della sua vita, martoriato nel corpo ma mai piegato nello spirito. Vive precocemente seri problemi di salute che  però non fiaccano mai la sua voglia di vivere.

Ancora adolescente, segue la sua famiglia nel trasferimento a Roma del padre, ispettore scolastico.

A Roma il suo percorso scolastico si completa prima al liceo ginnasio Giulio Cesare e poi alla facoltà di giurisprudenza dell’università “La Sapienza”.

Mario vive questi anni romani con il vigore della giovinezza, riflessivo, ma non scontroso, sportivo e pieno di amicizie. La sua attenzione, i suoi pensieri si concentrano sempre più su una chiamata che sente crescere prorompente dentro di lui: la voce di Dio che chiama, la voce del Cristo sofferente nelle povertà intorno a lui, del Cristo giudicato nei giovani “incompresi” del suo tempo, del Cristo misericordioso, caritativo e testimone del Padre nel ministero sacerdotale.

La sofferenza fisica che ha sempre accompagnato Don Mario non è mai stato un impedimento per lui, né un peso per gli altri, nel vivere la sua vita di servizio, anzi, lui ci ha pure investito sopra, offrendola benevolmente per alleviare la sofferenza altrui. È stato così fino al momento del suo ritorno al Padre. Questo sacerdote è stato la benedizione di tanti laici suoi collaboratori ma soprattutto la benedizione dei giovani.

La sua è una vocazione adulta, perciò quando chiede di entrare in seminario viene avviato alla formazione sacerdotale nel Collegio Sant’Eugenio, il seminario voluto dall’arcivescovo Ettore Cunial per la formazione delle vocazioni adulte, attiguo alla basilica di Sant’Eugenio.

Nonostante il suo stato di salute mostri progressivamente sempre più evidenti segni di peggioramento (gli viene accertato un tumore maligno alla tiroide), i suoi anni di seminario sono contrassegnati da studio intenso e intensa diaconia, nella visita ai carcerati romani e l’assistenza alle loro famiglie, facendosi notare fin da allora per la sua profonda umanità e il suo abbandono nella fede che salva e fa amare fino a farsi dono per gli altri, pronto anche all’estremo costo della propria vita.

Non si risparmia e la sua salute peggiora, con frequenti ricoveri in ospedale, ma lui si sente ormai pronto per la consacrazione sacerdotale: viene ordinato il 16 marzo 1974 nella basilica di Sant’Eugenio. ll primo incarico ministeriale è quello di vicario parrocchiale nella parrocchia di San Timoteo a Casal Palocco, dove resterà incardinato fino al 1981.

Il parroco, don Antonio Amori, gli affida subito le cresime. Sul finire della primavera del 1975, alla fine del primo anno di catechismo, don Mario da’ ai cresimandi l’annuncio di un cammino per i giovani, approntato per loro a partire dalla fine dell’estate di quello stesso anno presso la parrocchia.

L’estate del 1975 è particolarmente impegnativa: giornate (e nottate) laboriose e faticose per preparare responsabilmente il servizio ai giovani. Don Mario chiama subito molti adulti a collaborare: costituiranno la prima comunità di vita cristiana del Centro di Formazione Giovanile, realtà che don Mario fonderà due anni dopo.

Subito dopo la cresima, un primo gruppo di giovanissimi fra gli 11 e i 15 anni accetta l’invito fatto loro. A partire dall’autunno del 1975, in pochi mesi, con passaparola, accorrono numerosi altri adolescenti, perché, per la prima volta, si sentono veramente accolti per quel che sono, con tutte le loro esuberanze , sempre difesi da don Mario quando vengono additati e criticati dagli adulti frequentatori della parrocchia per le più svariate ragioni. È in questo periodo che i ragazzi inventano quell’affettuoso nomignolo, Domma, che resterà poi per sempre il suo nome per tutti i giovani.

Nasce così il Gruppo di Formazione Giovanile della Parrocchia di San Timoteo a Casal Palocco, che diviene ben presto un gruppone con circa 200 giovani sottratti alla noia, alla solitudine, al disagio e alla droga.

Quei giovani, con Don Mario ed i primi adulti suoi collaboratori, cominciano a pregare, a partecipare costantemente alla celebrazione eucaristica, ad esercitarsi alla carità cristiana, con piccoli e graduali esercizi di volontariato, a crescere per diventare cristiani adulti e consapevoli.

Mano a mano che il gruppo dei giovani cresce, la comunità degli adulti, chiamati da don Mario a collaborare al suo lavoro pastorale, si allarga per far fronte ai diversi servizi.

Da subito, il massimo impegno di don Mario nella formazione dei giovani è sotto gli occhi di tutti. Un impegno accompagnato da un profondo amore per l’umanità tutta intera, dai più poveri a tutti gli ultimi, dalle vittime della droga alle vittime di soprusi e prepotenze, dai disoccupati ai senza tetto, spendendosi al cento per cento per tutti e per ognuno.

Tanto per citare un esempio, sotto la spinta della carità, tanto pressata da Don Mario, una famiglia in quegli anni ospita per lungo tempo nella sua piccola casa  – 7 persone in 80 metri quadri – un giovane non vedente scappato di casa e bisognoso di un ricovero e di una famiglia ed essere aiutato a riconciliarsi con i suoi.

Da allora Don Mario si spende ancor di più, e i suoi collaboratori adulti con lui, perché la casa dei giovani, il Centro, possa comprendere anche una casa dell’accoglienza che ospiti in pianta stabile e per il tempo opportuno quei giovani bisognosi di essere accolti sotto un tetto, una famiglia e confortati e aiutati.

I primi anni di pastorale giovanile nella parrocchia di San Timoteo a Casal Palocco, tanto intensi da aver trasformato una sporadica e occasionale presenza giovanile in una folla impegnata e attiva di gruppi e comunità ancor oggi viva e operante, fanno prendere a don Mario coscienza degli oggettivi limiti e difficoltà della parrocchia – probabilmente di ogni parrocchia - di essere al servizio pieno dei giovani nella loro crescita umana e cristiana.

La parrocchia deve fare la sua parte – e fino in fondo – ma don Mario capisce che serve anche qualcosa di più specifico nella formazione dei giovani: spazi a loro esclusivamente riservati e di cui possano essere reali padroni nello sperimentare la loro crescita, nel cantare, ballare, nell’essere vivi e vitali ma non ancora adulti, di un minimo di attrezzature sportive non indispensabili in una parrocchia ma tanto utili per la crescita di un giovane, di tutti quei servizi di tipo culturale (dalla biblioteca al luogo di dibattito e confronto, dal teatro alla sala studi) che possono favorire la promozione umana di qualunque giovane, anche quando non ha esplicitamente preso coscienza del proprio rapporto con Dio.

Nel corso del 1977 si reca, come ha cominciato a fare sempre più spesso, a Loreto, per meditare e pregare nel santuario che custodisce la Santa Casa di Nazareth. Qui prega e chiede ispirazione per il suo servizio ai giovani, per assolvere compiutamente e secondo la Volontà di Dio, il mandato ricevuto dal cardinale vicario.

E questa volta a Loreto viene ispirato al progetto che porterà alla realizzazione del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto che completerà poi la sua denominazione con l’aggiunta di Casa della Pace.

Perché c’è una cosa che deve essere ben chiara, riguardo a don Mario: la scelta dei giovani non è sua, così come non lo è la scelta dei poveri; sarà il criterio dell'obbedienza alla volontà di Dio a spingerlo in questa avventura che tanti frutti porterà in seguito. La sua scelta è fare la volontà di Dio. L’obbedienza fa diventare sue le scelte del Padre ed è sempre piena e totale.

Così, il 10 maggio 1977 prospetta ai suoi collaboratori la costruzione della “casa per i giovani”, il luogo dedicato esclusivamente all’educazione dei giovani.

Il 30 giugno 1977, costituisce la prima comunità giovanile del Centro e allarga gli orizzonti pastorali all’intero territorio dell’entroterra di Ostia, alle altre parrocchie della zona, incoraggiando i giovani a vivere esperienze di preghiera, scambio di esperienze e volontariato coi giovani delle diverse parrocchie del territorio.

La fiducia dei giovani nei confronti di don Mario è generalizzata e incondizionata. Domma se la conquista non solo con una certa complicità all’interno di una specie di gioco delle parti con gli adulti animatori, ma anche – e soprattutto – perché i giovani si sentono fortemente amati, capiti, incoraggiati e sostenuti da quest’uomo che sa essere così straordinariamente amico e fratello.

L’estate del 1977 deve noleggiare un intero vagone delle ferrovie italiane per portare con i suoi animatori un centinaio di ragazze e ragazzi in vacanza per dieci giorni in Valle d’Aosta.

Ancor oggi, a trentatré anni di distanza, il ricordo di quell’esperienza, una vacanza speciale fatta di spensieratezza e festa, ma anche di riflessione e preghiera, è vivo nei cuori dei giovani di allora e il loro racconto è carico di struggente nostalgia.

Le famiglie dei giovani sono entusiaste e il sostegno alle iniziative di don Mario diventa sempre più ampio e diffuso e si allarga a tutto il territorio. Da parte sua, don Mario, nel corso di ognuno dei suoi periodici incontri col cardinale vicario Ugo Poletti, insiste ogni volta sulla necessità di realizzare la “casa per i giovani”, che per lui è ormai un imperativo categorico, se non vuole venir meno alla richiesta del Signore.

Finalmente, sul finire del 1977, il cardinale vicario gli dà la bella notizia: gli eredi di Arnaldo Canepa, catechista laico romano che nel 1945 fondò il Centro Oratori Romani, vogliono donare un terreno nel territorio della Madonnetta – tra Casal Palocco ed Acilia - col vincolo di realizzare strutture a servizio dei giovani delle periferie romane ed il cardinale ha pensato di metterlo a disposizione di don Mario ma mette anche un paletto: prima di realizzare qualunque altra struttura, deve costruire prioritariamente la chiesa e relative dipendenze di una nuova parrocchia, San Carlo da Sezze, senza poter contare – in ogni caso - su alcun contributo da parte dei fondi diocesani istituiti per la costruzione di nuove chiese. La nuova parrocchia deve servire un quartiere dell’estrema periferia romana che conta, alla fine degli anni ’70, circa 3.000 abitanti, quartiere che crescerà poi molto velocemente, superando oggi i 25.000 abitanti.

Don Mario dovrà trovare tutte le risorse necessarie, ma questo non lo scoraggia minimamente; è la sua grande scommessa con la Divina Provvidenza, come ricorderà qualche anno dopo il vescovo del settore sud di Roma, mons. Clemente Riva durante una delle sue frequenti visite pastorali al Centro.

A tale scopo il Vicariato di Roma nomina don Mario Primicerio della Arciconfraternita di San Gregorio Magno de’ Muratori, fondata nel 1537, e confratelli i suoi collaboratori adulti di quel momento. La donazione del terreno è quindi effettuata a favore dell’Arciconfraternita che potrà così procedere alla realizzazione delle strutture del Centro e della nuova parrocchia.

Il servizio ai giovani è sempre più impegnativo e pressante; don Mario è instancabile, coinvolge le loro famiglie, incoraggia e sostiene gli adulti collaboratori e con essi si sottopone a corvèe estenuanti: oltre ai chilometrici incontri settimanali si alternano ritiri spirituali con i giovani (con tutte le complicazioni del caso: notti in bianco, danni da esuberanza giovanile che devono essere riparati, …), ritiri spirituali con gli adulti collaboratori caratterizzati dalle lunghe veglie notturne nell’adorazione eucaristica, maratone di preghiera, confronto, discussioni, valutazione dell’esperienza in atto e programmazione delle attività.

Qualche mese dopo, è il primo giorno di primavera del 1978, don Mario invita tutte le famiglie dei ragazzi del Gruppo di Formazione Giovanile della parrocchia di San Timoteo a impegnarsi per la costruzione della casa per i giovani alla Madonnetta, fra Casalpalocco ed Acilia. nel terreno ricevuto in dono.

La risposta è unanime ed entusiasta, viene subito costituito un “Comitato Promotore del costruendo Centro di formazione giovanile Madonna di Loreto” che affianca il gruppo degli animatori, e che rimarrà attivo per anni per mobilitare persone e raccogliere risorse.

In pochi giorni don Mario raccoglie l’equivalente di un anno di stipendio di un buon impiego! Così può procedere subito alla recinzione provvisoria del terreno, per poi cominciare nella buona stagione le attività, avendo come tetto il cielo.

I giovani cominciano anche ad impegnarsi autonomamente ed in prima persona per raccogliere i fondi per costruire la loro casa.

Il 21 febbraio 1978, in una solenne celebrazione eucaristica, don Mario dichiara la nascita del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto, realtà di carattere interparrocchiale che vuole venire incontro a tutti i giovani con proposte, servizi e strumenti di aiuto nella loro crescita. Nello stesso tempo, il Centro vuole venire incontro a tutte le parrocchie con iniziative complementari e di supporto all’azione di evangelizzazione che ogni parrocchia svolge nel proprio ambito.

Ma don Mario sente anche impellente un altro impegno: accogliere ed amare i poveri, i derelitti, i bisognosi. Ad essi guarda con totale libertà interiore, senza pregiudizi di sorta, con affetto, partecipazione e totale donazione di tutto se stesso.

Non vuole sentire ragioni: la carità, l’amore verso i più deboli e bisognosi ha la precedenza su tutto e tutti. Anche sul piano finanziario, restando sempre fedele ad una regola che si dà sin dai primi anni di servizio pastorale: il 10% di qualunque entrata, a qualunque titolo pervenuta, deve andare ai poveri.

Il 16 giugno 1979 viene posta una simbolica prima pietra: una mensa per l’altare del futuro Centro, di legno e decorata con lamelle d’argento con incise le firme di don Mario, dei primi animatori, dei giovani delle prime comunità. In quell’occasione firma anche mons. Clemente Riva, allora vescovo ausiliare del settore sud della diocesi di Roma, che ha sempre incoraggiato don Mario e sostenuto entusiasticamente il Centro. Nove anni dopo (22 febbraio 1987) si aggiungeranno la firma del cardinale vicario Ugo Poletti e, pochi mesi dopo (13 dicembre 1987), quella di S. S. Giovanni Paolo II, quando verrà a benedire la prima pietra dei locali del Centro.

Nell’autunno del 1979 don Mario, in attesa di essere nominato parroco della futura parrocchia di San Carlo da Sezze, lascia la parrocchia di San Timoteo e con lui gli adulti animatori. Ovviamente le prime difficoltà sono enormi.

Alla prima comunità giovanile se ne affianca una seconda. È il 9 gennaio 1980  e i giovani partecipano liberi ed entusiasti.

Don Mario non si risparmia e i problemi di salute non lo fermano. Ma le difficoltà sono tante e gli uomini fanno la loro parte per complicare maggiormente le cose.

Il primo tetto, per quella che sarà poi la parrocchia di S. Carlo da Sezze e per il Centro di Formazione Giovanile, è un piccolo garage di 25 metri quadrati, che funge da chiesa parrocchiale, locale per i catechismi e le altre attività parrocchiali e da casa per i giovani, per le loro riunioni.

La casa canonica è un chilometro più in là, in un territorio in quel momento caratterizzato da strade sterrate, nessun drenaggio delle acque piovane, campi incolti e case e casette di ogni foggia e misura, moltissime costruite abusivamente. La canonica: cucinino, bagno e due camerette; una è la camera da letto e lo studio di don Mario, l’altra è il soggiorno/pranzo ma anche ufficio parrocchiale. Il tutto sobriamente arredato con la buona volontà delle tantissime persone che sono diventate amiche.

Dopo il garage finalmente gli viene donato un prefabbricato da installare sul terreno a suo tempo ricevuto in dono. Grande felicità dei giovani e relative famiglie anche perché l’inverno è in arrivo e finalmente si potrà stare al riparo da vento e pioggia.. Tuttavia, sono i giorni del terremoto in Irpinia e don Mario non esita un secondo:c’è chi ha più bisogno di noi e quel riparo, quella casa deve andare a loro” e dirotta senza indugi i camion che trasportano gli elementi prefabbricati verso i luoghi del disastro per essere chiesa e casa per quei terremotati.

Il terremoto dell’Irpinia! È la sera di domenica 23 novembre 1980, ma solo la mattina dopo l’Italia viene informata del dramma che registrerà quasi tremila morti. Don Mario non perde tempo: avvia una grande raccolta di indumenti e di generi alimentari e di conforto, riempie un’auto delle prime cose raccolte e parte subito con un collaboratore alla volta di Avellino.

Arrivano al crepuscolo del primo giorno dopo il terremoto e la giornata successiva trascorre tra file interminabili di corpi senza vita in attesa di sepoltura, compostamente allineati ai margini di paesi diroccati, braccia tese di persone che chiedono aiuto, indumenti, conforto. Per ciascuno don Mario ha un gesto d’affetto, uno sguardo di incoraggiamento, una parola di conforto. E quando tutti gli indumenti che ha trasportato fin lì sono finiti, vanno via anche la sciarpa di lana che don Mario ha intorno al collo e il maglione del suo collaboratore!

Dopo un primo contatto con la Caritas di Avellino, in attesa che gli venga assegnata un’area di intervento, don Mario, col suo Centro di Formazione Giovanile, organizza ben due raccolte di indumenti e di generi alimentari e di conforto per le popolazioni colpite e provvede quindi alla consegna diretta del materiale raccolto ai paesi di Montefredane e di Castelfranci.

È anche scaturita immediatamente dai giovani del Centro la decisione di intervenire direttamente a portare aiuto. Don Mario fa più volte la spola fra il Centro e la Caritas di Avellino fino a che viene assegnata al Centro come area di intervento quella di Montefredane, Capriglia e Grottalella. Vengono, così, subito organizzati turni settimanali di volontariato con gruppi composti di un adulto e nove giovani che costituiscono il loro centro operativo in Arcella, piccola frazione del comune di Montefredane.

Si dà anzitutto una mano a montare il prefabbricato che diventerà la chiesa e casa comune della comunità di Arcella. L’edificio sarà per qualche anno punto di riferimento per la presenza di tantissimi giovani del Centro di Formazione Giovanile e di molti adulti collaboratori di don Mario che con campi di lavoro e con una paziente, tenace e discreta opera di mediazione e insegnamento, restituirà vitalità ad una comunità che prima del terremoto si andava spegnendo, con un parroco sempre più solo e una comunità civile sempre più frammentata e divisa.

Don Mario non vuole che l’aiuto sia freddo e meramente tecnico e spinge perché si instaurino relazioni di amicizia e fraternità; così, accanto agli aiuti materiali (riparazioni, distribuzione di generi di conforto, lavori nei campi, eccetera) ci sono impegni di servizio: la riattivazione con ragazze del Centro e altre giovani residenti di un corso di scuola elementare per consentire il proseguimento degli studi ai bambini della zona, privati del proprio edificio scolastico - utilizzato per ospitare i senza tetto – e delle loro maestre, impossibilitate a raggiungere quotidianamente la località ed un corso di scuola media; momenti di fraterna amicizia e collaborazione con i giovani del paese; visite a tutte le famiglie del paese; tutti sforzi volti a ricostituire una comunità umana fraterna e solidale.

Don Mario ha il suo bel da fare per tranquillizzare le famiglie dei giovani che via via si turnano in Arcella (un gruppo passerà il Natale del 1980 lontano da casa, fra i terremotati). Genitori e parenti dei giovani si fidano di don Mario ma hanno bisogno di un suo supplemento di incoraggiamento; riescono così a superare la difficoltà di “far volare da soli” i loro figli e nipoti.

Con il terremoto in Irpinia don Mario ha orientato i giovani a crescere con una cultura del servizio e del volontariato responsabile e non meramente limitata all’adempimento di un impegno pratico o di un dovere sociale, ma orientata ad essere testimonianza di una volontà di amare. Questo orientamento resterà vivo nel Centro da allora in poi, non solo nell’eccezionale occasione dei terremoti (da quello dell’Umbria al recente in Abruzzo) ma anche nella “normalità” della vita, nei confronti di tutte le categorie di bisognosi, dagli anziani ai disabili, dai senza tetto alle persone sole, dal vicino di casa al vicino di banco.

Il 20 maggio 1981 don Mario viene nominato ufficialmente parroco di San Carlo da Sezze.

All’inizio dell’estate del 1981 arriva finalmente un altro prefabbricato, che viene montato e rifinito interamente dai giovani. Ci vorranno però altri undici anni per avere un tetto vero, dopo aver costruito – e donato alla diocesi il 22 febbraio 1987 - gli edifici, chiesa e locali parrocchiali, della parrocchia di San Carlo da Sezze, come sevizio del Centro alla comunità cristiana della diocesi di Roma.

La mobilitazione intorno a don Mario per la costruzione del Centro è stata sempre caratterizzata da perseveranza, speranza e obbedienza alla diocesi, costruendo appunto anche la parrocchia di San Carlo da Sezze. La maggior parte delle persone che aiutano don Mario appartengono ad altre parrocchie, ma sono tutte orgogliose di servire la Diocesi in quel territorio allora un po’ desolato.

Seguendo l’esortazione di don Mario “costruiamo prima la chiesa parrocchiale perché non si dica: hanno prima costruito la loro casa”, queste persone si impegnano subito, anche mettendo a rischio le case delle loro famiglie – con le fideiussioni a garanzia dei prestiti bancari – nella costruzione di chiesa e locali parrocchiali, dirottando temporaneamente a tal fine le loro donazioni periodiche e infine donando gli edifici parrocchiali alla diocesi stessa.

Tutti i donatori sono pienamente consapevoli che il Centro, pur essendo “fondatore”, “finanziatore” e “costruttore” della Parrocchia di San Carlo da Sezze, è un organismo indipendente rispetto alla stessa, con autonoma capacità organizzativa, finanziaria ed operativa e il rapporto tra Centro e parrocchia è ottimo e il Centro mette i propri locali anche a disposizione della parrocchia per i suoi bisogni pastorali.

I cuori – e i portafogli – dei donatori guardano al Centro e così perseverano, ognuno secondo le proprie possibilità e sostenuti dalla determinazione e fede incrollabile di don Mario, per pervenire, infine, all’inaugurazione dei locali della parrocchia e del Centro stesso.

La casa canonica/ufficio parrocchiale è un via vai continuo. La comunità parrocchiale comincia a prendere corpo incuriosita e catalizzata da questo prete tanto attento e disponibile, ma anche tanto stimolante e coinvolgente. “E i poveri dove li metto?” Già, i bisognosi: ha incontrato un anziano solo, abbandonato dai famigliari e alcolizzato, ha freddo, l’inverno è alle porte, “Portiamolo a casa!” Don Mario cede la sua stanza. E non è per qualche giorno, settimana o mese.  Per anni questo prete dormirà su un divano dell’ufficio parrocchiale, semisfondato e da liberare in fretta tutte le mattine!

Eppure mai un brontolio o un lamento, come se fosse la cosa più normale e comoda di questo mondo. Fatta con tanta riservatezza e cura che molti non se ne accorgeranno nemmeno.

La precarietà dei locali non ferma don Mario che ora aggiunge ai giovani e ai poveri un altro gravoso impegno: costruire la comunità parrocchiale.

Sono anni di vitalità, fermento ed entusiasmo senza uguali, a dimostrazione che l’amore – la Carità, così cara a don Mario – se è pieno e gratuito, riempie a sazietà lo spirito umano.

L’amore e il servizio ai poveri e ai bisognosi d’ogni sorta lo portano a non risparmiarsi mai, nonostante il suo permanentemente precario stato di salute, dando costante testimonianza forte di questa carità. Si allarga la platea di quelli che bussano, ma per fortuna si allarga anche la platea dei collaboratori e, purtroppo, anche quella dei critici, i “perbenisti”, infastiditi dalla scomodità anche solo di guardare in faccia l’umanità dolente.

Nella sua parrocchia ogni settimana passano a ritirare un pacco di alimenti più di cento famiglie e lui ha una parola di sostegno per ciascuno, una busta con un po’ di denaro, un sorriso ed una preghiera.

Si affacciano a lui ormai i casi più disparati: il tossico che non riesce ad uscire dalla sua dipendenza, il malato cronico che sta perdendo ogni speranza, il disabile mentale che sta perdendo la sua identità e la sua dignità, la zingara che vuole uscire dal recinto del campo nomadi e farsi una nuova vita e, negli ultimi anni, folle di immigrati, regolari e clandestini con i bisogni più disparati. Per ognuna delle persone di quest’umanità sofferente don Mario si impegna in modo originale e specifico, accompagnando i moribondi con parole di forte speranza per portarli a chiudere serenamente la loro vicenda terrena, aiutando il disabile mentale a prendere cognizione della sua dignità e facendolo circondare dall’affetto di una comunità, trovando i soldi per consentire ad una persona affetta da una rara malattia un intervento chirurgico all’estero …

Non sono ancora passati due anni e già la processione dei poveri è intensa e lunghissima. Nel Natale del 1982 don Mario organizza, con l’aiuto dei giovani del suo Centro, il primo pranzo per 300 poveri, accolti come ospiti d’onore e trattati da re, con tutti i riguardi del caso: niente di superficiale, improvvisato o sciatto, ma cura e attenzione anche al più piccolo dettaglio.

Quest’evento continuerà a ripetersi negli anni, con una breve interruzione dal 1996, quando don Mario subisce un terribile attentato, al 1999, per poi riprendere come pranzo di Pasqua (il giovedì santo) e continuare ancor oggi.

Ma il Natale dei poveri è per don Mario anche il momento di un dono speciale: un ricco pacco natalizio dove non mancano panettone e ricche leccornie d’ogni tipo, ancora oggi tanto atteso e gradito da un gruppo di quasi un migliaio di persone (310 famiglie) oggi molto diverso da allora, con tantissimi immigrati in più e con tantissimi anziani e vedove.

Finalmente il 1° settembre 1985 il cardinale vicario di Roma Ugo Poletti benedice la prima pietra del complesso parrocchiale: con le fideiussioni dei fedeli le banche gli han fatto credito, con il denaro già raccolto e … con tante promesse di pagamento … ha trovato chi gli fa il progetto, ha poi ottenuto l’approvazione del vicariato e trovato la ditta che è pronta a costruire, rischiando sulla scommessa con la Divina Provvidenza che don Mario ha fatto.

Il vecchio prefabbricato parte per diventare chiesa provvisoria in un’altra periferia romana e al suo posto prende vita il cantiere, che durerà meno di un anno e mezzo. Il 22 febbraio il cardinale Poletti è accolto, davanti alla chiesa da consacrare, da un fedele che a nome del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto dona il complesso parrocchiale alla diocesi.

Ma mentre il cantiere è aperto, dove si raduna, prega e celebra la comunità? Dove si riuniscono i giovani? Ancora un capanno, un altro prefabbricato di cantiere sarà chiesa e locali del Centro di Formazione Giovanile.

L’originalità positiva dell’esperienza di questo “prete di periferia” che dal nulla ha costruito non solo le mura ma anche una comunità viva e pulsante, attenta ai giovani e ai poveri che accorrono da ogni dove, arriva all’orecchio del Papa Giovanni Paolo II che vuole venire al più presto in visita pastorale, cosa che avviene – inusualmente – lo stesso anno della consacrazione della chiesa, il 13 dicembre 1987.

Quel giorno il Santo Padre dichiara di sentire forte e vibrante la fede di una comunità, benedice don Mario, ben volentieri mette la sua firma sulla lamella d’argento da apporre sulla mensa per l’altare del Centro e benedice anche la prima pietra dei locali definitivi (finalmente!) del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto.

La salute di don Mario continua ad essere stabilmente precaria ed incerta, ma lui se ne preoccupa sempre meno. Intanto, la folla di poveri e derelitti non cessa, anzi, col passaparola aumenta ed ha un nuovo luogo di bivacco: l’ingresso della nuova chiesa e la canonica; con buona pace dei – per fortuna pochi – “benpensanti” che all’inizio sono infastiditi dall’incessante via vai e dagli estemporanei e rumorosi assembramenti, ma che poi si ammorbidiscono davanti alla dolcezza e pazienza di don Mario.

Del resto, la parrocchia di S. Carlo da Sezze diviene ben presto l’”ultima spiaggia” per  tanti poveri ed emarginati: “dalla mia parrocchia mi han detto che loro non possono fare di più: prova a S. Carlo da Sezze e chiedi di don Mario” e don Mario ha sempre una risposta per tutti.

E le sofferenze anche fisiche di don Mario non cessano. Nel marzo 1989 è colpito da un terribile ictus che lo terrà per mesi in ospedale e in riabilitazione. Ma già il giorno dopo l’ictus, ripresa conoscenza, prega e pensa ai suoi giovani e ai suoi poveri e chiede come stanno collaboratori e amici!

Non si risparmia né per i giovani né per i bisognosi, bussa a tante porte, viaggia … ma è sempre lì. Ritorna al lavoro, alla sua parrocchia al suo Centro e altre ischemie non lo fermano. Mai.

L’esemplarità del suo servizio suscita tante vocazioni sacerdotali. E don Mario non si ferma a godere i frutti di tanta benedizione: deve ancora costruire i locali della casa per i giovani, senza trascurare i bisognosi e accrescendo ancor più, se possibile, l’amore per la comunità parrocchiale che gli è stata affidata e il suo territorio.

Finalmente nel 1992 sono pronti anche i locali del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto Casa della Pace: sale, saloni, teatro, biblioteca, “scatenatoio” per giochi, feste e incontri, aule, Casa dell’accoglienza, campo di calcetto, campo di pallavolo, spogliatoi e locali di servizio.

Poi, il 24 novembre 1996 un terribile attentato alla sua persona. Mentre è in preghiera in chiesa, nella cappella dedicata alla Madonna, una persona gli versa addosso un’intera tanica di benzina e gli da fuoco. Ha trovato in don Mario il capro espiatorio di colpe sue: un matrimonio fallito e un isolamento sociale tenacemente perseguito. Ma don Mario appena riprende conoscenza, nelle mille sofferenze fisiche del momento perdona, prega e chiede notizie dei suoi giovani e dei suoi poveri.

Ricoverato all’ospedale romano di S. Eugenio riceve solidarietà da ogni parte d’Italia e numerosi sono i donatori di sangue che per alcune settimane (a 6 donatori al giorno fra amici, parrocchiani, confratelli del clero diocesano) faranno la spola in ospedale per salvare don Mario. Don Mario ancora una volta riprende a vivere, come rinato, passerà gli ultimi dodici anni della sua vita su una sedia a rotelle motorizzata e manovrerà queste nuove “gambe” con una perizia senza uguali.

Con solo più tre dita della mano destra e volto (e testa e cervello) funzionanti e una vitalità impressionante, resterà saldamente, responsabilmente e coraggiosamente parroco di S. Carlo da Sezze ancora per molti anni per poi passare il testimone a don Fabrizio Centofanti, una delle sei vocazioni sacerdotali dei giovani del Centro, ma conservando, su direttiva del Cardinale Vicario Camillo Ruini, la responsabilità della vita e attività del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto Casa della Pace, nella sua veste di Commissario dell’Arciconfraternita di San Gregorio Magno de’ Muratori, soggetto giuridicamente proprietario degli immobili del Centro stesso e formalmente promotore del Centro stesso.

Il corpo è martoriato ma lo spirito è saldamente sanissimo e vitale, amato da tutti, c’è una gara ad aiutarlo in tutti i suoi bisogni vitali, ventiquattro ore su ventiquattro.

Quando alla vigilia di Natale del 2008 don Mario viene ricoverato all’ospedale Grassi di Ostia per un improvviso malore, lui capisce che sta per essere chiamato al Padre, ma ancora una volta non pensa a se stesso: come ogni anno, anche questa volta ha gia fatto preparare per la festività natalizia in parrocchia centinaia di bambinelli di terracotta da distribuire nella celebrazione di mezzanotte ai parrocchiani perché lo mettano nelle loro case, nei loro presepi natalizi. Chiede che quei bambinelli gli vengano portati in ospedale e li fa distribuire a tutti i ricoverati, con parole di incoraggiamento, speranza e consolazione.

Il 30 dicembre 2008 rende serenamente il suo spirito al Padre.

Il cardinale vicario Agostino Vallini il 2 Gennaio 2009 alle esequie di mons. Mario Torregrossa a Roma, nella chiesa di S. Carlo da Sezze, lo ha ricordato così