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RASSEGNA STAMPA

Raccoglieremo in questa sezione gli articoli pubblicati sul Centro dai giornali locali del nostro territorio (XIII municipio del Comune di Roma) e da quelli nazionali (siamo in Italia, per chi ci segue dall'estero!). Se avete degli articoli che qui ancora non compaiono ma che meritano di essere inseriti nella nostra rassegna stampa, potete inviarceli dattiloscritti, ricordandovi di citare la fonte, la data di pubblicazione e l'autore.

 



Zeus - 05/12 n.173 - La comunità attende il rientro di don Mario PDF Stampa E-mail
Venerdì 25 Maggio 2012 16:36

E' ormai prossima la tumulazione di don Mario Torregrossa nella chiesa di San Carlo da Sezze ad Acilia, in risposta alle istanze di cittadini e fedeli molto legati all’ex parroco nonché fondatore del Centro di formazione giovanile Madonna di Loreto.

L’accordo tra le autorità civili ed ecclesiastiche è stato raggiunto proprio in questi giorni. Mancano soltanto gli ultimi visti da parte dell’unità sanitaria locale. Il sindaco di Roma ha garantito che tutte le procedure di competenza capitolina verranno completate. Ha inoltre autorizzato la dedicazione del parco di via Molajoli (zona Madonnetta) alla figura storica ed amatissima di don Mario, devastato fisicamente nel 1996 dall’aggressione di un piromane, ma rimasto lucido e saldo nello spirito di servizio verso i giovani ed i poveri, fino ai suoi ultimi giorni nel 2008.

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ZEUS - 09/10 n. - Otto anni tra le pulizie di casa e... Michelangelo PDF Stampa E-mail
Giovedì 09 Dicembre 2010 08:08

 

Polisportivdi Palocco.
Per arrivare a Roma ho dovuto fare un viaggio lunghissimo, come capita a tanti. Sono andata
prima in Sudafrica, dove ho dovuto aspettare un mese e mezzo; da lì sono andata in Svizzera e poi
in Lussemburgo in aereo, ed infine in treno fino a Roma… penso che si possa immaginare il motivo
di tanto girovagare per entrare in Italia… appena arrivata però mi sono messa in regola attraverso
la sanatoria del 2002 e grazie all’aiuto della famiglia con cui lavoro. Questa è stata eccezionale,
mi ha fatta sentire da subito accolta e trattata bene: che differenza rispetto alla famiglia presso cui
lavoravo in Uruguay, dove mi toccava mangiare in cucina da sola…!
All’inizio in Italia ero spaesata, ma grazie alla famiglia e alla scuola sono riuscita a costruirmi
una vita equilibrata. Da quando sono qui non ho avuto problemi legati alla discriminazione
anche se sento che si dicono tante cattiverie sugli immigrati e che spesso ci sono aggressioni ai
loro danni anche qui nei nostri quartieri. Io non ho paura, vengo da un paese e da una città dove
purtroppo di delinquenza ce ne è molta e non mi spavento anche se all’inizio, prima di partire,
alcuni mi dicevano che gli italiani sono cattivi… Io non ci credevo ed ho avuto ragione, non
credo in generale ai pregiudizi: nè a quelli che si sentono fuori sugli italiani, né a quelli che si
sentono qui sugli stranieri. Per farci due risate sugli stereotipi: la prima volta che sono tornata
in Perù i miei familiari si preoccupavano di farmi mangiare pesce e carne, credevano infatti che
in Italia si mangiasse unicamente pasta e pizza…! D’altro canto qui in Italia pensano che tutti i
latinoamericani siano ballerini provetti: anche a me piace ballare la salsa ed il merengue, anche se
non capita spesso, magari alle feste degli amici peruviani che abitano ad Ostia o a Roma…
Il futuro? L’ho costruito con le mie mani, da sola, pezzo per pezzo, senza sapere cosa mi riservasse,
vivendo alla giornata. Mi piacerebbe avere una casa, magari nella zona di Acilia o Dragona, dove
le abitazioni costano di meno, e stare con i miei fratelli. Toribio sta per fare il ricongiungimento
familiare con la moglie e la figlia e ne sono molto contenta. Anche se ormai parlo bene voglio
continuare ad andare a scuola d’italiano: nella mia classe, il livello più alto, non studiamo solo
la lingua, ma la letteratura, la storia dell’arte, la poesia, l’educazione civica. Io, che non ho avuto
l’opportunità di studiare molto nel mio paese, ora so chi sono Dante e Michelangelo e ne vado
fiera”.
Anche noi siamo fieri di Cruz che costruisce il suo destino, sempre con il sorriso sulle labbra.

STORIE MIGRANTI

Otto anni a Casalpalocco, tra le pulizie di casa e… Michelangelo

 

Rubrica sull’Integrazione a cura della Scuola di Italiano per stranieri “Effathà”   del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto

 

Ci troviamo a parlare con Cruz Gonzalez Gonzalez un sabato pomeriggio su una panchina del parco della Madonnetta, mentre guardiamo la partita della “Resto del Mondo”, la squadra di calcio della scuola di italiano, composta da ragazzi e ragazze di diverse nazionalità. Cruz ha quarant’anni e viene da Chiclayo, città costiera del Perù, ed è una delle persone che frequentano da più tempo i corsi di italiano presso la scuola Effathà.

“Sono otto anni che vengo a scuola, esattamente da quando sono arrivata in Italia, settembre 2002.

Da otto anni faccio la domestica presso la stessa famiglia di Casalpalocco che ora si è trasferita all’Infernetto. Io faccio la domestica da una vita, era il mio lavoro anche in Perù ed in Uruguay, dove ho vissuto qualche anno prima di venire qui. Provengo da una famiglia molto povera, la prima ad emigrare in Italia è stata mia sorella Maria, più giovane di me, che ora fa la babysitter a Casalpalocco, poi sono arrivata io e poi mio fratello Toribio, il più grande, che di mestiere fa il cuoco e che in pochi anni da aiutante è riuscito a diventare il capo-cucina al ristorante della Polisportiva di Palocco.

Per arrivare a Roma ho dovuto fare un viaggio lunghissimo, come capita a tanti. Sono andata prima in Sudafrica, dove ho dovuto aspettare un mese e mezzo; da lì sono andata in Svizzera e poi in Lussemburgo in aereo, ed infine in treno fino a Roma… penso che si possa immaginare il motivo di tanto girovagare per entrare in Italia… appena arrivata però mi sono messa in regola attraverso la sanatoria del 2002 e grazie all’aiuto della famiglia con cui lavoro. Questa è stata eccezionale, mi ha fatta sentire da subito accolta e trattata bene: che differenza rispetto alla famiglia presso cui lavoravo in Uruguay, dove mi toccava mangiare in cucina da sola…!

All’inizio in Italia ero spaesata, ma grazie alla famiglia e alla scuola sono riuscita a costruirmi una vita equilibrata. Da quando sono qui non ho avuto problemi legati alla discriminazione

anche se sento che si dicono tante cattiverie sugli immigrati e che spesso ci sono aggressioni ai loro danni anche qui nei nostri quartieri. Io non ho paura, vengo da un paese e da una città dove purtroppo di delinquenza ce ne è molta e non mi spavento anche se all’inizio, prima di partire, alcuni mi dicevano che gli italiani sono cattivi… Io non ci credevo ed ho avuto ragione, non credo in generale ai pregiudizi: nè a quelli che si sentono fuori sugli italiani, né a quelli che si sentono qui sugli stranieri. Per farci due risate sugli stereotipi: la prima volta che sono tornata in Perù i miei familiari si preoccupavano di farmi mangiare pesce e carne, credevano infatti che in Italia si mangiasse unicamente pasta e pizza…! D’altro canto qui in Italia pensano che tutti i latinoamericani siano ballerini provetti: anche a me piace ballare la salsa ed il merengue, anche se non capita spesso, magari alle feste degli amici peruviani che abitano ad Ostia o a Roma…

Il futuro? L’ho costruito con le mie mani, da sola, pezzo per pezzo, senza sapere cosa mi riservasse, vivendo alla giornata. Mi piacerebbe avere una casa, magari nella zona di Acilia o Dragona, dove le abitazioni costano di meno, e stare con i miei fratelli. Toribio sta per fare il ricongiungimento familiare con la moglie e la figlia e ne sono molto contenta. Anche se ormai parlo bene voglio continuare ad andare a scuola d’italiano: nella mia classe, il livello più alto, non studiamo solo la lingua, ma la letteratura, la storia dell’arte, la poesia, l’educazione civica. Io, che non ho avuto l’opportunità di studiare molto nel mio paese, ora so chi sono Dante e Michelangelo e ne vado             fiera”.

Anche noi siamo fieri di Cruz che costruisce il suo destino, sempre con il sorriso sulle labbra.

 

Scuola di Italiano Effathà

Lezioni martedì e giovedì 19.00 – 20.30

Tel. 3279931602

 

 

 
ZEUS - 10/10 n. - Dove corre la..."Resto del Mondo" PDF Stampa E-mail
Giovedì 09 Dicembre 2010 07:48

 

STORIE MIGRANTI
Al parco della Madonnetta, dove corre la… “Resto del Mondo”
Rubrica sull’Integrazione a cura della Scuola di Italiano per stranieri “Effathà”
del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto
“Resto del Mondo”: così si chiama la squadra di calcio della scuola di italiano Effathà, composta da
giocatori di ogni latitudine del planisfero. Sono ragazzi e ragazze che hanno cominciato ad allenarsi
un sabato pomeriggio di ottobre per gioco e che non si sono più fermati: ormai l’appuntamento
è fisso il sabato alle 15,30 al campetto del parco della Madonnetta, fenomeni atmosferici
permettendo.
La squadra è composta da uomini e donne senza limiti di età, anche se i più assidui frequentatori
sono i ragazzi sulla ventina. L’obiettivo della “Resto del Mondo” è quello di trascorrere un
pomeriggio tutti insieme all’aria aperta, divertirsi con la scusa del pallone, formidabile elemento
di aggregazione e socializzazione. Lo dimostra il fatto che Rodica, giovane romena di ventuno
anni, viene al parco anche quando non può giocare, per scambiare due chiacchiere o leggere un
libro. “Una volta ho segnato da venticinque metri” ci tiene a precisare, per dire che quando sta bene
e gioca fa sul serio.
Qui si respira l’aspetto sano e salutare del calcio vero, quello che fa abbracciare le persone, non
quello che fa incattivire le curve. E nonostante il livello del gioco non sia altissimo lo spettacolo
non manca e ci si diverte, soprattutto quando piove e si gioca in mezzo al fango.
“Ti ho fatto due buste! Ti ho fatto due buste!” Ripeteva sabato scorso Dulaj alla fine della partita.
Lo sfottò del giovane srilankese di diciassette anni, speranza della squadra, era indirizzato ad uno
dei suoi maestri di italiano che in partita aveva subito due tunnell (passaggio del pallone sotto le
gambe ndr)… Interessante imparare da uno a cui insegni l’italiano che esistono vocaboli della tua
lingua usati per indicare qualcosa che abbiamo sempre definito in inglese, il tunnell appunto. Stare
in campo insieme è un’ottima palestra anche per la lingua, aiuta a sciogliersi e a relazionarsi, a
sforzarsi per parlare nella necessità di farsi capire, fosse anche solo per chiamare un passaggio o
la posizione in campo. Si sente parlare di tutto: italiano, spagnolo, srilankese, inglese, addirittura
Cagdas e Dimitri, un turco ed un moldavo, pilastri del centrocampo e dell’attacco, che parlano tra di
loro in russo… ma alla fine ci si capisce tutti.
Il martedì sera a scuola dopo la lezione di italiano ci si scambiano le opinioni sulla partita del sabato
precedente e a chi chiede “che cosa avete fatto?” viene sempre risposto “Abbiamo vinto!”.
“Abbiamo perso una volta sola… l’unica che abbiamo giocato contro un’altra squadra…”. Precisa
Vincenzo, maestro di italiano tra gli organizzatori delle partite: “è stato quando, non so come, una
squadra di ragazzini tra gli undici ed i quattordici anni, armata di tutto punto, si è presentata per
sfidarci. Vista la differenza di stazza fisica all’inizio abbiamo proposto di mischiare le squadre,
ma quelli erano lì proprio per sfidare la Resto del Mondo e non hanno voluto accettare. Abbiamo
giocato in sette contro sette, con la differenza che quelli avevano il triplo del fiato nostro e
giocavano tutti a tutto campo, parevano ventuno…”
“Io l’avevo detto che non bisognava fidarsi dei ragazzini – commenta Jesùs Bautista, il portiere
della squadra, peruviano - Tutti pensavano che fosse una partita facile ed hanno cominciato a
giocare con leggerezza e senza ordine in campo. Quando ci siamo trovati sotto di un gol abbiamo
provato a reagire e ci siamo portati sul due a due…”
“Poi sono entrato io ed abbiamo perso tre a due…” conclude ridendo Dulaj.
Si affaccia in corridoio Bogdan, Romania: “Non so giocare a pallone, ma la prossima volta gioco
anch’io, mi hanno detto che vi divertite troppo…”. E’ proprio questo lo spirito che anima ogni
sabato la Resto del Mondo.

STORIE MIGRANTI

Al parco della Madonnetta, dove corre la… “Resto del Mondo”

 

Rubrica sull’Integrazione a cura della Scuola di Italiano per stranieri “Effathà”

del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto

 

“Resto del Mondo”: così si chiama la squadra di calcio della scuola di italiano Effathà, composta da giocatori di ogni latitudine del planisfero. Sono ragazzi e ragazze che hanno cominciato ad allenarsi un sabato pomeriggio di ottobre per gioco e che non si sono più fermati: ormai l’appuntamento è fisso il sabato alle 15,30 al campetto del parco della Madonnetta, fenomeni atmosferici permettendo.

La squadra è composta da uomini e donne senza limiti di età, anche se i più assidui frequentatori sono i ragazzi sulla ventina. L’obiettivo della “Resto del Mondo” è quello di trascorrere un pomeriggio tutti insieme all’aria aperta, divertirsi con la scusa del pallone, formidabile elemento di aggregazione e socializzazione. Lo dimostra il fatto che Rodica, giovane romena di ventuno anni, viene al parco anche quando non può giocare, per scambiare due chiacchiere o leggere un libro. “Una volta ho segnato da venticinque metri” ci tiene a precisare, per dire che quando sta bene e gioca fa sul serio.

Qui si respira l’aspetto sano e salutare del calcio vero, quello che fa abbracciare le persone, non quello che fa incattivire le curve. E nonostante il livello del gioco non sia altissimo lo spettacolo non manca e ci si diverte, soprattutto quando piove e si gioca in mezzo al fango.

“Ti ho fatto due buste! Ti ho fatto due buste!” Ripeteva sabato scorso Dulaj alla fine della partita.

Lo sfottò del giovane srilankese di diciassette anni, speranza della squadra, era indirizzato ad uno dei suoi maestri di italiano che in partita aveva subito due tunnell (passaggio del pallone sotto le gambe ndr)… Interessante imparare da uno a cui insegni l’italiano che esistono vocaboli della tua lingua usati per indicare qualcosa che abbiamo sempre definito in inglese, il tunnell appunto. Stare in campo insieme è un’ottima palestra anche per la lingua, aiuta a sciogliersi e a relazionarsi, a sforzarsi per parlare nella necessità di farsi capire, fosse anche solo per chiamare un passaggio o la posizione in campo. Si sente parlare di tutto: italiano, spagnolo, srilankese, inglese, addirittura Cagdas e Dimitri, un turco ed un moldavo, pilastri del centrocampo e dell’attacco, che parlano tra di loro in russo… ma alla fine ci si capisce tutti.

Il martedì sera a scuola dopo la lezione di italiano ci si scambiano le opinioni sulla partita del sabato precedente e a chi chiede “che cosa avete fatto?” viene sempre risposto “Abbiamo vinto!”.

“Abbiamo perso una volta sola… l’unica che abbiamo giocato contro un’altra squadra…”. Precisa Vincenzo, maestro di italiano tra gli organizzatori delle partite: “è stato quando, non so come, una squadra di ragazzini tra gli undici ed i quattordici anni, armata di tutto punto, si è presentata per sfidarci. Vista la differenza di stazza fisica all’inizio abbiamo proposto di mischiare le squadre, ma quelli erano lì proprio per sfidare la Resto del Mondo e non hanno voluto accettare. Abbiamo giocato in sette contro sette, con la differenza che quelli avevano il triplo del fiato nostro e giocavano tutti a tutto campo, parevano ventuno…”

“Io l’avevo detto che non bisognava fidarsi dei ragazzini – commenta Jesùs Bautista, il portiere della squadra, peruviano - Tutti pensavano che fosse una partita facile ed hanno cominciato a giocare con leggerezza e senza ordine in campo. Quando ci siamo trovati sotto di un gol abbiamo provato a reagire e ci siamo portati sul due a due…”

“Poi sono entrato io ed abbiamo perso tre a due…” conclude ridendo Dulaj.

Si affaccia in corridoio Bogdan, Romania: “Non so giocare a pallone, ma la prossima volta gioco anch’io, mi hanno detto che vi divertite troppo…”. E’ proprio questo lo spirito che anima ogni sabato la Resto del Mondo.

 

 

Se vuoi giocare con la

“Resto del Mondo”

Sabato ore 15.30 Parco della Madonnetta

Tel. 3279931602

 

 

 
Zeus - xx/xx n. - RITRATTO DI DONNA CON VELO PDF Stampa E-mail
Sabato 15 Maggio 2010 15:31

STORIE MIGRANTI - Rubrica sull’Integrazione a cura della Scuola di Italiano per stranieri “Effathà” del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto

Questo mese presso la scuola di italiano abbiamo intervistato Bouchra El Wali, una donna marocchina di trentatre anni che vive in Italia dal 2001 e ad Acilia dal 2003. Bouchra abita in via dei Basaldella, nella scuola materna occupata attorno a cui sono sorte tante polemiche ed a cui ancora non si è trovata una soluzione.

“Al momento siamo un gruppo di famiglie – spiega Bouchra - e alcuni singoli a vivere lì. Al municipio ci avevano parlato della possibilità di accedere ad altri alloggi, sono venuti anche i vigili a fare il censimento nel 2006 ma poi purtroppo non si è saputo più nulla...”.

Bouchra è  sposata ed ha due figli di sei e sette anni, Salah Iddin e Alì, suo marito ha la licenza per vendere libri come ambulante in alcuni mercatini di Roma e dintorni. “Sono arrivata in Italia nove anni fa – racconta - per seguire mio marito. Lui era qui per gestire delle importazioni verso il Marocco dove aveva un’attività avviata, ma a causa di alcuni problemi l’ha dovuta chiudere ed ha deciso di rimanere a Roma a cercare un nuovo lavoro. Il primo anno io ho lavorato come domestica e usufruito della sanatoria ottenendo il permesso di soggiorno. Ho lavorato anche come insegnante di arabo ma ora non lavoro ed abbiamo due figli piccoli da mantenere”.

Dal 2007 Bouchra frequenta la scuola di italiano Effathà dove ha portato un sorriso luminoso ed una presenza preziosa che offre tra l’altro lo spunto per far confrontare persone di culture e religioni differenti su un tema molto attuale, quello del velo, o meglio detto in arabo hijab, che lei indossa con eleganza. Nello spiegare cosa significa per lei indossare il velo ci da anche un punto di vista particolare sulla nostra società:

“Intanto c’è da sfatare il mito che tutte le donne musulmane indossano il velo. Non è vero, in Marocco c’è libertà di scelta ed è normale vedere ragazze in minigonna. Il velo è una decisione personale che valorizza l’essere donna. Quando scegli di indossarlo infatti è per rispetto verso te stessa, verso Dio e verso la relazione che hai con tuo marito. La donna con il velo vuole essere rispettata dagli altri uomini a cui non mostra nulla del suo corpo se non quello che vuole lei, le mani ed il viso. Non vuole essere presa in considerazione solo per le sue forme ma per il suo modo di essere. La donna si sveste davanti ad un solo uomo, il suo sposo, così facendo da un valore diverso anche alla sua relazione coniugale. A me non scandalizza vedere ragazze in minigonna, quello che mi imbarazza è l’atteggiamento provocante ed il modo in cui nella società occidentale tutto sia incentrato sul sesso femminile, anche per vendere un telefono. Da noi questo non succede. Mi chiedo invece come si possa valorizzare una donna spogliandola e mettendola sui calendari, sulle riviste e nelle trasmissioni che guardano tutti. E’ curioso per me pensare cosa può provare il marito della modella famosa quando la vede nuda, sapendo che tutti gli altri uomini l’hanno già vista in quel modo... è come se non ci fosse più nulla da scoprire, nulla da donare... Sento che qui si valorizzano le donne con le gambe lunghe e che sanno ballare, che si rifanno il seno e le labbra: penso che una donna del genere non sia libera, ma un pupazzo che si muove come piace all’uomo. Da noi l’uomo non può ne alzare le mani ne dire parolacce a sua moglie. Diciamo che le parolacce tolgono luminosità al viso. Per tale motivo vorrei che i miei figli crescessero e si educassero in Marocco, mi fa paura vedere tanti bambini viziati, cresciuti davanti alla TV e che si rivolgono male ai genitori.

Inoltre sento che in Italia sta crescendo il razzismo verso gli stranieri, la cosa mi preoccupa soprattutto per i bambini che sono così sensibili. Per questo apprezzo le iniziative volte all’integrazione come la festa dell’Arcobaleno, che la nostra scuola vuole riproporre a metà maggio. Se rimaniamo qui mi piacerebbe fare la mediatrice culturale, sento che ce ne è molto bisogno, e proprio in questo mese parteciperò ad un laboratorio sull’intercultura promosso dal C.I.A.O. (Centro per l’Integrazione l’Accoglienza e l’Orientamento) presso una scuola superiore del municipio”.

Per informazioni

Scuola di Italiano Effathà

3279931602

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Zeus - xx/xx n. - Canzone d’amore con dedica PDF Stampa E-mail
Sabato 15 Maggio 2010 15:27

NOTIZIE DA EFFATHA' , LA SCUOLA DI ITALIANO PER STRANIERI IN FUNZIONE AL CENTRO:

Ospite del secondo numero di STORIE MIGRANTI è Ismaél Aguero Rignack, cubano di trentasette anni. Una sera tra amici, tra una canzone e l’altra, lui e sua moglie Patricia Vizcarra, peruviana, ci hanno raccontato la loro storia d’amore, di musica e di vita.

“Quando sono sbarcato all’aeroporto di Fiumicino - racconta Ismaél - avevo con me solo il mio strumento, il tres, ed uno zainetto a tracolla.

Era lo stesso modo in cui andavo in giro a Cuba, a Isla de la Juventud, dove vivevo. Lì infatti lavoravo in ufficio come ingegnere agronomo ma la mia vera passione era la musica, così durante il fine settimana facevo il musicista. Siccome suonavo fino a tardi nei locali e gli autobus terminavano alle dieci di sera, andavo sempre in giro con lo zaino con i miei effetti personali perché sapevo che mi sarei dovuto fermare a dormire da qualche parte. Sono un musicista di son, trova e guaracha, musica tradizionale cubana. Il mio strumento è il tres, una sorta di chitarra leggermente più piccola le cui corde sono raggruppate in tre coppie. Poco a poco ho cominciato a lavorare nei villaggi turistici cubani facendo l’animatore a tempo pieno come musicista, cantante e istruttore di salsa. E’ stato proprio in un villaggio turistico che ho conosciuto Paty, che oggi è mia moglie. Il cantante del gruppo che doveva esibirsi si è sentito male quella sera ed io sono stato chiamato a sostituirlo…”.

Patricia vive in Italia dal 1991 e lavora in un’ Organizzazione Internazionale. Ricorda così la sera in cui, in vacanza a Cuba, ha conosciuto Ismaél: “Quando ho sentito la sua voce, ancora prima di entrare nella sala da ballo, mi sono chiesta chi fosse a cantare, quando sono entrata i nostri sguardi si sono incontrati subito e lui ha cominciato a dedicarmi le canzoni. Alla fine del concerto ero in imbarazzo, volevo nascondermi perché non sapevo come comportarmi, certa che lui sarebbe venuto da me; allora vado a rifugiarmi in bagno e come apro la porta esce lui che mi fa: “Vieni a ballare?”. Così è nato tutto. Era il febbraio del 2007”.

“A settembre del 2008 sono riuscito a partire per l’Italia - riprende Ismaél - con un visto turistico di tre mesi; per noi cubani non è facile lasciare il nostro paese. Sono venuto ad abitare ad Acilia a casa di Paty e nel gennaio 2009 ci siamo sposati ed abbiamo richiesto la coesione familiare che mi permettesse di restare qui in Italia, ma in questura abbiamo avuto una brutta sorpresa…”

“Quando lavori presso un’Organizzazione Internazionale - lo interrompe Paty - hai una carta d’identità rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri che non equivale al permesso di soggiorno, per cui non puoi richiedere la coesione familiare, per me è stato incredibile: ero in Italia da 19 anni, con un lavoro in campo internazionale e mio marito non aveva il diritto di vivere con me. Il visto di Ismaél era in scadenza e lo avrebbero potuto espellere in qualsiasi momento in quanto irregolare. E’ stato un periodo angosciante, ma dopo qualche mese io ho ricevuto finalmente la cittadinanza italiana che ci ha dato la possibilità di fare la coesione familiare, per cui ora anche mio marito ha la carta di soggiorno”.

“Mi piace molto l’Italia - continua Ismaél - ma c’è un modo di vivere completamente diverso da Cuba, qui le persone sono stressate per la loro condizione economica, si preoccupano di guadagnare. Io sono figlio di un’altra mentalità, a Cuba non siamo ricchi, ma le persone sono allegre e non si deprimono per mancanza di risorse economiche. Quando sono arrivato qui non capivo perché tutti fossero preoccupati o tristi. A Cuba puoi passare ore ad aspettare l’autobus, ma non importa, anzi è un buon momento per socializzare; lì le porte di casa sono sempre aperte e non ci vogliono inviti per andare a visitare un amico, i vicini vengono a trovarti a casa anche solo per sapere come stai, mentre qui ognuno vive chiuso a casa sua. A trentacinque anni, con una cultura e una mentalità diverse da quelle italiane, ho dovuto cominciare una vita nuova: fortunatamente a Cuba uno si deve arrangiare a fare tutto, così io so fare l’elettricista, il giardiniere, il muratore, e con le lezioni private di chitarra e di salsa il lavoro non mi manca”.

 
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