Zeus - 04/99 n.29 - I venticinque anni di Domma Stampa

Forse sono la persona che vive da più tempo questa avventura con Don Mario. Era l’anno scolastico 1974/75, Domma (ndr. nomignolo affettuoso con cui i ragazzi e gli amici del Centro chiamano don Mario) era appena arrivato nella Parrocchia di San Timoteo a Casal Palocco ed io mi accingevo a iniziare la preparazione per la Cresima. Ero un bambino di 11 anni totalmente inconsapevole dell’importanza che quel prete giovane e paffutello avrebbe avuto per la mia vita. Durante un ritiro fatto a Civitella, noi ragazzi avevamo pensato di continuare a ritrovarci anche a Cresima fatta. Ci furono allora presentati Gigi e Grazia, due coniugi che con amore e dedizione sono partiti insieme a Domma ed altri adulti nell’impresa del Gruppo di Formazione Giovanile della Parrocchia di Casal Palocco. Sono passati ormai tanti anni dall’inizio di questa avventura e dall’ordinazione di Domma che tutto ha determinato: 26. Domma nel frattempo è stato trasferito da Palocco alla Madonnetta - quartiere che contava circa 3.000 abitanti e che ora con lo sviluppo imprenditoriale tocca punte di 25-30.000 - ed è divenuto parroco di una parrocchia cominciata in un garage di 25 mq. ristrutturato, proseguita in due capanni di lamiera prefabbricati e continuata nella Chiesa che tutti conoscete, inaugurata nel 1987. Ma una gran parte dell’amore che è scaturito da Domma si è riversato sui giovani, verso quella realtà che rappresenta uno dei momenti più critici della crescita di una persona. Ha voluto esserci e, con un drappello di adulti, si è imbarcato nell’impresa di realizzare un CENTRO DI FORMAZIONE (ndr. la cui struttura attualmente visibile è stata inaugurata nel 1993) per quegli adolescenti che sarebbero divenuti uomini. 26 anni dedicati ai giovani. 26 anni dedicati a noi.

Di quando ero ragazzino ricordo un Domma diverso, più giovane, che correva sulla spiaggia dell’Argentario, che ci portava a vedere il concerto della PFM a Villa Pamphili, che andava a svegliare chi non voleva andare a scuola, che si adoperava tra i terremotati dell’Irpinia, che predicava senza sosta e ci prendeva per sfinimento, che ballava alle feste, che giocava a poker con mia zia, che gli regalavi le scarpe per il suo compleanno il 5 maggio e dopo due giorni le vedevi ai piedi di un povero e lui sempre con quelle suole semibucate. Ora le scarpe non puoi regalargliele più, le corse in riva al mare sono finite e i concerti anche. Sono rimaste le partite durante i giorni di Natale, con don Fabrizio che “legge” per lui “spizzandogli” le carte una ad una. Sono rimaste anche le prediche interminabili dove spesso non riesci a capire le parole a causa della sua flebile voce: non capisci le parole, ma senti lo spirito. Ha amato senza confini e senza remore, ha amato di un amore incarnatosi solo ed esclusivamente nella carità. Anche nell’ultima (in ordine di tempo) grande prova che lo ha visto drammatico protagonista il 24 novembre 1996 e che tuttora lo costringe sulla sedia a rotelle. (ndr. Del resto la sua storia vocazionale era nata con una diagnosi mortale di tumore alla tiroide ed era stata poi segnata da un ictus nel 1989. Da un’emorragia interna causata dalla presenza di tre ulcere e dalle alterne vicende del diabete).
Mi ha insegnato il significato della libertà; cosa vuol dire credere, sperare, amare; come ci si affida alla Provvidenza e quanto è bello gustare le cose del Signore. E mi rendo conto che se non riesco a spiccare il volo verso la piena umanità nell’Amore di Dio, è solo colpa della mia cocciuta razionalità e della mia poca fede.

(di Paolo Migani)